Diario indiano di un volontario Namaste: un altro giro di giostra


Da bambino, quando mia madre mi portava alle giostre, ricordo nitidamente i giostrai che, pur di attirare i miei occhi rapiti dalle luci, continuavano ad urlare “altro giro, altro regalo”. Ovviamente, cadendo ingenuamente in questi tranelli, mi attaccavo al braccio di mia madre affinché mi concedesse la possibilità di portare anche io a casa il mio regalo.
Tralasciando il mio entusiasmo per le giostre che tutt’oggi non ho perso, qui è più o meno lo stesso: ogni giorno, nel bene o nel male, c’è qualcosa che ti colpisce, che ti segna, che ti culla prima di addormentarti.

Tuttavia, dell’odierno giro di giostra vorrei limitarmi a raccontare solo un momento. Ritengo strettamente necessario fare una premessa: non sono mai stata una persona che simpatizzasse particolarmente con i video di ONLUS ed ONG di bambini poveri e tristi, affamati e con gli occhi che sembrano gridare aiuto. Li ho sempre trovati un modo troppo comodo ed ingiusto per prendere dei soldi in più dalle anziane del circolo del burraco. Considerato anche che questa è la storia di una donna di più di 40 anni, proverò ad evitare inutili pietismi.

Siamo andati a trovare A., per accertarci delle sue condizioni, se avesse abbastanza a mangiare, se ci fossero delle perdite sul tetto, se avesse bisogno di qualcosa: insomma, come routine, controllavamo come stesse. A, piu che un bambino, è un terremoto. Non esiste una sua foto che non sia mossa, in cui l’unica cosa distinguibile è il suo enorme sorriso. Arrivati, ci accoglie facendoci strada per arrivare a casa sua che ci mostra orgoglioso. Una veloce corsa per le scale ed ecco la sua capretta. Poi subito dentro, dove vi era anche la madre: in un inglese claudicante (comunque sorprendete per la sua età), ci ha mostrato dove dormiva, di come avesse imparato a fare le addizioni, i suoi poster del sistema solare, i suoi quaderni con i disegni. Tra tutte, una foto: prendendola in mano gli occhi gli brillavano, sembrava quasi mostrasse un poster di Indiana Jones, del suo attore o cantante preferito. Era invece di sua madre in gioventù, nel pieno della sua carriera, bellissima. Intanto lei stava li, a pochi passi da lui, un fantasma di ciò che era, visibilmente provata ma che comunque cercava di essere sorridente, partecipe, positiva. Scoprii in quel momento la storia di questa donna della quale oggi non saprei scrivere il nome e che probabilmente domani dimenticherò definitivamente.

In gioventù fu una bellissima donna, molto istruita. Cominciò una carriera come attrice e doppiatrice, vestendo anche jeans e magliettine, alquanto sbalorditivo in un Paese talmente conservatore. Come ogni giovane astro nascente, o almeno è quello che mi piace pensare, si sposò ed ebbe un figlio da suo marito. Stava vivendo “il sogno”, diremmo noi, fintanto che un cancro ai polmoni la colpì. Da quel momento perse tutto, le poche ricchezze che aveva, il marito che l’ha abbandonata cosi come la bellezza che un tempo la contraddistingueva, lasciandole un viso segnato da ogni giorno che stancamente passa. Una storia non troppo diversa da molte altre.

Non hanno praticamente un reddito, ma sopravvivono coltivando poche cose nel “giardino di casa”. Ciò nonostante, prima dell’intervento di Namaste, ha fatto da tutor a suo figlio, facendogli da maestra in maniera eccezionale, tanto che oggi A. è un ottimo studente della seconda elementare. Inoltre, è riuscita a far fare a suo figlio dei provini per qualche serie televisiva minore: il cartellone con il suo viso funge da portone d’ingesso.

Tutto sembra andare bene: l’unica cosa che questa donna ci chiedeva, nonostante il tetto che gocciolasse, era un motore che tirasse su il secchio del pozzo, in quante lei non ne era più in grado. E mentre suo figlio continuava a correre di qua e di là in giardino, cominciò a piangere. Era il pianto di chi sentiva di avere fallito, di chi avrebbe dovuto fare di più ma non ci è riuscito. Il pianto di una persona che ha perso: mi spiegò che suo figlio era bravo come attore, che quel provino poteva portare a qualcosa ma che lei non aveva la forza di accompagnarlo ad altri provini, negandogli cosi il suo possibile futuro.

Questa donna non piangeva perché era povera, non per il cancro ai polmoni, non per la vita che avrebbe potuto avere, non per il marito che era scappato: piangeva perché colpevole di non avere la forza di accompagnare suo figlio a dei provini. Sentiva di stargli negando il suo futuro, di starlo rendendo un perdente, esattamente come lei. Eppure, ai miei occhi, era stata impeccabile.
Lui, dall’altra parte della stanza, mostrava orgoglioso la foto di sua madre da giovane.
E cosi facemmo l’unica cosa che si può fare in quei casi: “andrà tutto bene”, le dissi, “non c’è nulla di cui preoccuparsi”. Mentivo. E lei lo sapeva, ma mi strinse comunque le mani.
Continuai dicendo che non aveva nulla di cui incolparsi, che di donne della sua caratura ne esistono poche e che aveva cresciuto un figlio meraviglioso. Le aveva dato tutto quello che aveva fino all’ultima fibra del suo essere, e tutti i suoi sforzi, le sue energie, erano visibili negli occhi di quel piccolo terremoto che domani, grazie soprattutto ai suoi sforzi ma anche il nostro aiuto, potrà avere un futuro. Aveva solo avuto una mano sfortunata, e a questo io ci credo.

Non mi sentivo bene. L’aria nella stanza era sempre di meno, avevo bisogno di luce, avevo bisogno di una pausa da quella carica emotiva che attraversava la casa e mi congedai.

Tornammo verso Namaste. Sulla strada c’erano delle viole, e al piano di sopra c’era una birra da dividere in sei che ci aspettava, come al solito. D’un tratto, questa giornata era uguale a qualunque altra qui in India, come appena prima di partire per un nuovo giro di giostra. E cosi sarà anche domani, “altro giro, altro regalo”.

Matteo Milani
volontario Namaste

10 luglio 2018