Avrei voluto restare a Namaste… (la testimonianza di Miryam)


Ricordo il giorno che siamo partiti per l’India. Ero molto contenta di partire con la mia famiglia per un viaggio così “avventuroso”. Mi chiedevo come avrei comunicato con i ragazzi di Namaste. In inglese? Con la lingua dei segni? Forse sarebbero bastati degli sguardi.

Appena arrivati a Vellanad, la cittadina che ospita Namaste, io e la mia famiglia non eravamo neanche riusciti a posare i bagagli che già tutti erano lì ad accoglierci con larghi sorrisi e ghirlande colorate, solo ed esclusivamente fatte per noi.

Quell’insolita collana me l’aveva data un ragazzino di nome Ajith.
Mi guardava con i suoi occhietti incuriositi ed io, che un po’ mi vergognavo, avevo preso la ghirlanda velocemente e me la ero messa al collo!
Il giorno dopo io e mia sorella eravamo andate a ballare con le ragazze.
Tutte ci prendevano per mano, sorridevano e ci facevano domande che però non avevano quasi mai delle risposte, perché non capivo niente.

I giorni sono passati velocemente.
Pian piano ho capito che il linguaggio che usavamo non importava in che lingua fosse. Ogni tanto, mentre parlavo con i ragazzi, cercavo di capire qualcosa e rispondevo con un secco “SÌ,” che subito dopo diventava un “NO” perché non sapevo cosa avevo accettato.

Avrei voluto restare a Namaste ancora giorni interi per finire di godermi quegli splendidi ambienti ricchi di gioia.
Adesso non vedo l’ora di ritornare, di rivedere Sanal, Sarga, Adithya, Malu, Sandra e Krishna.
Per ora mi occupo di imparare l’inglese e di mantenere i rapporti a distanza con i ragazzi.
Più avanti forse, quando torneremo, riuscirò a parlare di qualcosa, consapevole di quello che sto dicendo.

Myriam, 12 anni
(9 marzo 2021)